IAEV - Roberto Bianchin - Non Ricordo più Nulla - Racconti

Non ricordo più nulla

Racconti

Una girandola di invenzioni e colpi di scena, sostenuti da una scrittura strepitosa, dipinti all’acquerello con i colori audaci del burlesque. Quindici racconti, alcuni inediti, altri pubblicati su quotidiani, riviste e volumi, tratteggiano in questo libro, con pennellate a colori vivaci, il mondo onirico, surreale e magico, che ha già fatto arditamente capolino nei romanzi di Roberto Bianchin.
Roberto Bianchin, veneziano, giornalista e artista di varietà, inviato speciale di Repubblica, ha scritto per radio, cinema, teatro. Romanzi: Niente rumba stanotte (Marsilio, 2002), Albascura (Marsilio, 1998).
Quindici racconti, alcuni dei quali inediti, altri pubblicati su quotidiani, riviste e in vari volumi, tratteggiano in questo libro, con pennellate a colori vivaci, il mondo onirico, surreale e magico, che ha già fatto arditamente capolino nei romanzi di Roberto Bianchin.
Autore di nicchia, minoritario per vocazione, sempre fedele al suo linguaggio spiazzante attraversato da un’ironia surreale in bilico fra il comico e il malinconico, lo scrittore veneziano dà vita a una stupefacente galleria di personaggi folli e stravaganti, poetici e romantici, che si muovono sullo sfondo degli scenari a lui più cari. Dal mondo della musica come ne «Il batterista dei Navigli», a quello del circo come in «Delia, l’acrobata dell’Alzaia» e «L’uomo che moriva due volte al giorno», da quello degli spettacoli di Carnevale come in «Non ricordo più nulla» e «Mi chiami pure Casanova, Mister Bond», a quello dello sport come in «Sventolano ancora le bandiere» e «Le partite incominciavano in cucina».
Ma qui l’autore spazia anche oltre. Fino a piombare nei temi culturali e in quelli di più stretta attualità, come in «Faccia da schiaffi», «La mattina dei fogli parlanti», «Nessuna fine mai». Per arrivare a dedicare un’attenzione tutta particolare alle suggestioni che gli provengono dalla sua città natale, la Serenissima Venezia, e dai suoi molti problemi, visti sempre sotto la lente d’ingrandimento di un’ironia sottile, spesso dissacrante, che a volte si stempera nella nostalgia del tempo andato come in «Ma che flash la vita» e ne «E i fantasmi salirono dall’acqua dei canali», e altre volte diventa invece perfida, e si trasforma in sarcasmo, come in «La notte che crollò il ponte di Calatrava», «Il mistero della diga lunata», «Il giorno che Nando tornò a Veneland».
Una girandola di invenzioni e colpi di scena, sostenuti da una scrittura strepitosa, e dipinti all’acquerello con i colori audaci del burlesque.